In ricordo di BILL VIOLA. La potenza metafisica dell’immagine nella video arte di Bill Viola. Di Beniamino Vizzini
Che l’opera d’arte sia, in certo qual senso, la conseguenza elaborata di un atto contemplativo la cui “attualità” si comunica, per via spirituale ed interiore, alla coscienza di chi ristà a guardarla, è un' ipotesi che ci è venuta in pieno confermata dal genio artistico di Bill Viola, alla frontiera più estrema del coinvolgimento creativo tra l’arte e le nuove tecnologie.
Bill Viola è partito da ricerche sul rapporto tra la musica elettronica e l’immagine; dopo le iniziali esperienze degli anni Settanta negli Stati Uniti (lavora con il gruppo musicale Rainforest di David Tudor e Al Synapse Video Center di Syracuse) e in Italia (con Art/Tapes/22 a Firenze) seguono numerosi i viaggi, l’interesse per il misticismo e le filosofie orientali, l’approfondimento e anche una sorta di sublimazione del sapere tecnologico.
La materializzazione della memoria, la dilatazione del tempo, sia quello individuale, sia quello infinito della natura, lo scavalcamento dei confini della percezione comune, l’attitudine a trattare il suono come materia plastica e le immagini come onde sonore e la tendenza a pensarle come organismi viventi sono temi ricorrenti nella ristrutturazione artificiale e spirituale della sensibilità che ha caratterizzato le opere di Viola.
Dedicata al grande e poetico visual artist newyorkese, ricordiamo la grande mostra antologica del 2014 al Grand Palais di Parigi, ricca di molteplici suggestioni, tutte convergenti sulla chiara consapevolezza che la materia prima dei suoi lavori sia il tempo. Il curatore Jérôme Neutres scriveva nel catalogo dell'esposizione che fra le più significative definizioni che Bill Viola abbia dato della sua arte, in una nota del suo diario del 1989, sia stata “scolpire il tempo”. “Un tempo – aggiungeva Neutres – che a Bill Viola piace far durare, replicare, rallentare, come per mostrarne tutte le linee e le forme, e la cui impronta caratteristica è l’uso, unico nel suo genere che egli fa dello slow motion, questo movimento così lento che lo obbliga a fissare attentivamente l’immagine per coglierne l’evoluzione. Uno stile estetico che rassomiglia alla pratica della meditazione, che consiste nel fissarsi su un tempo presente, nel concentrare il proprio sguardo per andare più lontano nella percezione di un soggetto”.
L’irruzione delle immagini in movimento e con esse la riproduzione del tempo accelerato, cinematico del film o telematico del video, è stato un evento che ha provocato, nel campo delle arti visive, una destabilizzazione radicale del loro statuto storico cui le arti visive, mutanti nelle arti elettroniche hanno reagito prima tentando di sovvertirne, fra gli anni Sessanta e Settanta, la logica tecnocratica di controllo e manipolazione del segnale elettronico, con la quale viene verificato e sussunto ogni aspetto della realtà esterna contestandone, in un gioco di spiazzante e ironica messa in discussione, i modelli culturali e la sua stessa capacità di riproduzione della realtà.
Esauritosi il ciclo libertario e contro culturale di quel ventennio in cui esplosero insurrezioni creative di esperienze come Gutai, il Nouveau Realisme, la Poesia Visiva, l’Arte cinetica e programmata, Fluxus, incomincia a ricostituirsi nell’ambito delle sperimentazioni artistiche, su dispositivi sofisticati – il video e il computer – utilizzati come materiale plasmabile, con sapiente e progressiva gradualità, uno statuto estetico (e poietico) autonomo, in grado di riconnettersi perfettamente così, alle radici umanistiche della storia dell’arte, come, alle tradizioni spirituali più antiche dell’umanità, e la cui evoluzione culmina nelle opere esemplari, veri capolavori, della videoarte di Bill Viola.
Sarebbero varie e numerose le opere prodotte in cinquant’anni di straordinaria attività da potersi citare, in tal senso, e tutte risulterebbero egualmente rivelatrici di una estetica fondata sulla poeticità profonda di un agire artistico mosso dalla contemplazione meditativa dei misteri dell’esistenza umana o del tempo sospeso, fra nascita e morte, dell’essere vivente.
Ma la scelta ricade e, non involontariamente, su una sola di queste espressioni dell’altissima poetica dell’artista newyorkese, tal che a nostro arbitrio, sembra rappresentarne in modo paradigmatico e forse il più esemplificativo possibile, l’essenza distillata: si tratta di una videoinstallazione del 1995, riproposta poi successivamente a Palazzo Strozzi di Firenze, durante la mostra su Pontormo e Rosso Fiorentino, intitolata The Greeting. L’incontro di tre donne, ispirato alla Visitazione di Pontormo – ripreso ad alta velocità e proiettato con estremo rallentamento (45 secondi dilatati in 10 minuti) – anima l’istante immobile del quadro, espande la temporalità dell’immagine rivelandone il prima e il dopo, e catturando lo sguardo in una percezione nuova, densa di sfumature.
Par quasi d’essere un veggente che guardi nella sfera di cristallo; si avverte il moto silenzioso, spiraliforme, del tempo o l’eterno che è nelle mutevoli contingenze della vita. Il tipo di immagine sprigionata dalla fluida lentezza del movimento ipnotico nello schermo del video richiama, in effetti, un particolare tipo di immagini che Gilles Deleuze, nel suo monumentale saggio sul cinema, ha definito immagine-cristallo; è il segreto che forse ogni immagine porta con sé, la sua potenza metafisica e spirituale.
La peculiarità dell’immagine-cristallo consiste nel presentare un punto di indiscernibilità tra due facce tra loro opposte: il presente e il passato di questo stesso presente. Si tratta appunto delle due direzioni che si disgiungono nel bilico neutro dell’istante. Questa indiscernibilità, continua Deleuze, non è nella testa di nessuno, ma è il carattere oggettivo di tali immagini. Ciò che si vede allora in esse è il fondamento nascosto del tempo-successione, vale a dire il tempo non cronologico. Esse presentano l’istante fuori dal tempo che si disgiunge illimitatamente in due getti simmetrici.
Scrive Deleuze: “Il tempo consiste in questa scissione, è lei che si vede nel cristallo. L’immagine cristallo non era il tempo, ma si vede il tempo nel cristallo. Si vede nel cristallo la perpetua fondazione del tempo, il tempo non cronologico (…) il visionario, il veggente, è colui che vede nel cristallo, e, ciò che vede, è lo sgorgare (jaillissement) del tempo come raddoppiamento, come scissione”.
Ma, qui, le immagini “in movimento” nel video The Greeting di Bill Viola sono state, con indubbia evidenza, plasmate ad arte per evocare il nunc stans dell’incontro dipinto nel quadro di Pontormo e allora in esse o, in grazia proprio del loro movimento lento, avviene una ri-volta catartica o, conversione, per cui ciò che appare nell’ansiosa tensione verso l’effuso abbandono delle donne, una nelle braccia dell’altra, non è che utopia di un presente non più atopico, non più inquietato da quella fibrillazione interiore che lo rende sempre non contemporaneo, sempre scisso in se stesso.
L’instans delle immagini-cristallo si scioglie, all’opposto, nel nunc stans dei mistici. La visitazione è anche un annuncio. L’immagine, nella forma stessa della sua apparizione, eternata in un capolavoro della pittura, come quello di Pontormo, a cui si è ispirato l’artista americano, o catturata nello spazio d’una visione artificiale, come nella videoinstallazione che abbiamo prescelto per la sua esemplarità, contiene in sé, per così dire, il topos hyperouranios, il platonico “vero luogo”, in cui l’esilio, la non presenza, patita in ogni istante, è finalmente “tolta”.
La latenza che rende ogni attimo insonne, facendolo ruotare sognante verso un non-ancora, l’interminabile marcia di avvicinamento delle figuranti (45 secondi dilatati in 10 minuti), è colmata alla fine della storia, o nel suo vero inizio, da un atto che le dà piena realizzazione, il saluto. Di questo telos, il nunc stans – che interrompe in un punto sovrano lo scorrere profano degli ora – è senz’altro un annuncio.
L’emozione che procura la vista di un capolavoro della videoarte come The Greeting e, in genere, di tutta la produzione video performativa di Bill Viola, ci induce a riflettere sulla mistericità del tempo racchiuso, come pietra preziosa in uno scrigno ermetico, nel silenzio delle immagini in cui si apre la ferita che l’attimo immenso, per esempio, di un abbraccio guarisce, riconciliando il presente con se stesso, facendolo pervenire a quella dimensione di pura praesentia, nella quale non c’è più tempo semplicemente perché tutto il tempo è stato compiuto e perché tutto il tempo sta ad iniziare.
Il testo di Beniamino Vizzini qui pubblicato, con il titolo "La potenza metafisica dell’immagine nella video arte di Bill Viola" è stato pubblicato nel 20° cahier della rivista Tracce Cahiers d’Art, a cura di Marianna Montaruli e Beniamino Vizzini e sul giornale La Voce di New York.